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II Settimana Biblica

25-28 Settembre 2000

Rel. Laila Lucci


IL VANGELO DI GIOVANNI : QUESTIONI INTRODUTTIVE

Premessa
Fra gli studiosi c’è consenso pressoché unanime sul considerare il 4° vangelo come il più teologico, tanto che alcuni Padri, come Clemente Alessandrino (II secolo) l’hanno definito il vangelo “spirituale”. In realtà, pur non abbandonando la caratteristica di raccolta di materiale predicazionale e di fatti – propria del genere letterario "vangelo"- si mostra più evoluto nella riflessione rispetto ai Sinottici. Mentre questi infatti riferiscono, ciascuno secondo un proprio piano teologico, eventi passati di cui conservano il ricordo, Giovanni cerca di trasmettere il senso di tali ricordi in una prospettiva post-pasquale e alla luce dello Spirito Santo promesso (14,16 “…un altro Paraclito che “vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”). Gesù ha rivelato il Padre, come il vangelo dichiara fin dal prologo, ma questa comprensione è stata possibile solo dopo essere stata portata a compimento dall’evento pasquale.
Per questo molti autori hanno intravisto nella procedura dell’evangelista due tempi di lettura: il
tempo degli uditori contemporanei di Gesù e il tempo dei lettori che vivono dopo la pasqua. Gli stessi fatti, cioè, possono essere visti secondo la prospettiva dei contemporanei o alla luce della fede pasquale. Frasi come "Il vento soffia dove vuole" (3,8) o "Il Figlio dell'uomo deve essere innalzato" (12,34) potevano non essere appieno comprese dagli uditori contemporanei di Gesù, sulla base che essi avevano della bibbia ebraica, ma diventano pienamente comprensibili dopo la resurrezione. In espressioni come quella del Battista "Costui è il Figlio di Dio" (1,34) un buon ebreo poteva al massimo arrivare a riconoscere Gesù come il Messia, compimento delle promesse, mentre i lettori post-pasquali riescono a cogliere nel Cristo il Figlio che rivela l'amore del Padre (3,16; 1,18). In ciò si può vedere, con X-L.Doufour, un'opera intenzionale del redattore che aiuta i lettori a passare dalla "fase del ricordo" degli uditori contemporanei di Gesù, a quella della "contemplazione del mistero che è propria dei credenti".
A queste due piste di lettura occorre aggiungere una
lettura simbolica, nel senso etimologico del termine secondo il quale il simbolo rimanda ad una realtà impercettibile ai sensi, ma che non le è affatto estranea. Così l'acqua viva, il pane sono il simbolo della salvezza, in quanto la esprimono direttamente; Gesù è simbolicamente il nuovo tempio e l'agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo (1,29).

  • L'autore

Critica esterna
Le più antiche testimonianze sull' autore del 4° vangelo provengono dai
Padri: Papia di Gerapoli (II sec) ha parlato di un Giovanni il Presbitero; Ireneo vescovo di Lione (II sec), attingendo da Papia sostiene che Giovanni, il discepolo del Signore, che durante l'ultima cena aveva posato il capo sul suo petto, pubblicò il vangelo mentre stava in Asia; così Policarpo vescovo di Smirne (II sec), che secondo alcune testimonianze avrebbe conosciuto di persona l'apostolo Giovanni; Ippolito romano (II-III sec) scrive un'opera in difesa del vangelo e dell'Apocalisse di Giovanni. Esiste così una tradizione prevalentemente asiana che attribuisce il 4° vangelo all'apostolo.
C'è tuttavia un altro filone che avanza l'ipotesi che lo scritto non sia frutto
dell'opera di un'unica volontà: Clemente Alessandrino riferisce che Giovanni scrisse la sua opera spinto dai suoi discepoli, mentre il Canone Muratoriano (che contiene la lista delle opere da leggere nella liturgia e che risale al 170 ca) sostiene che Giovanni scrisse il suo vangelo su pressante invito dei suoi discepoli e "vescovi" con l'approvazione dell'apostolo Andrea e che, se scrisse il suo vangelo "a nome proprio" lo fece "con l'approvazione di tutti".
Critica interna
In effetti l'attribuzione di un vangelo così teologico ad un pescatore quale era
Giovanni, può difficilmente essere accettata dalla critica moderna che, analizzando il testo vi ha scorto differenze nello stile greco, incoerenze nella successione, salti geografici e cronologici (14,31 e 18,1). Dopo il primo miracolo a Cana (2,11), Gesù fa miracoli a Gerusalemme (2,23), però il successivo miracolo a Cana è chiamato il secondo miracolo (4,54); ripetizioni nei discorsi (6,35-50 e 6,51-58) e soprattutto una duplice conclusione del vangelo (20,30-31 e 21,24-25). Ci sono dunque elementi che sembrano indicare inserzioni o nuove redazioni e d'altra parte c'è la menzione del "discepolo amato", fonte di informazioni ("Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate",19,35 e \"Pietro allora voltatosi vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era trovato al suo fianco…..Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti", 21,20.24).
Qual è la risposta più verosimile al problema? Occorre fare una distinzione che
nell'antichità era ben chiara, fra autore, di cui il libro esprime le idee, e scrittore, che comprende uno o più estensori e redattori materiali. Questo spiegherebbe gran parte delle incongruenze di cui sopra in quanto il vangelo sarebbe stato redatto per stadi successivi di cui la prima fase sarebbe consistita nella predicazione di un "evangelista", ci sarebbero poi state stesure successive fino alla redazione finale da parte di una scuola di discepoli del pensiero giovanneo.
2. Ambiente di origine e data di composizione
Ad un'attenta lettura il 4° vangelo, scritto in greco – un greco ricco di ebraismi
e aramaismi -, si presenta verosimilmente composto da un giudeo-cristiano che conosce la bibbia ebraica e greca, appartenente alla seconda o terza generazione cristiana (Gv 21,15-23 dimostra che la morte di Pietro è avvenuta nel 60 d.C. e Gv 11,48 suppone la distruzione di Gerusalemme avvenuta nel 70: "Se lo lasciamo fare tutti crederanno in lui e verranno i romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione") ed è in contatto con la sinagoga e l'ambiente giudaico della diaspora. Il vangelo si preoccupa, infatti, di spiegare parole ebraiche o aramaiche come "messia (1,41; 4,25), rabbi (1,38), Siloe" (9,7), "Litostroto" (19,13), cosa che non sarebbe richiesta da un pubblico palestinese e di usanze ebraiche (2,6; 4,9). Che la datazione sia tardiva è dimostrato dal riferimento all'attrito con la sinagoga (cc 2-4; 5-10; "….non potete dare ascolto alle mie parole voi che avete per padre il diavolo…." 8,43-44; 9,28-29), i cui capi avevano deciso l'espulsione per chi riconoscesse Gesù come il Cristo ("…avevano paura dei giudei, infatti i giudei avevano stabilito che se uno lo avesse risonosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga, 9,22;12,52; "vi cacceranno dalle sinagoghe…"16,2) e alla maledizione (birkat hamminim) contro gli apostati cristiani, che i maestri ebrei avevano inserito nella preghiera delle 18 benedizioni e che risale all'80-85 d.C. Del resto non si può andare oltre la fine del 1° secolo in quanto il vangelo ci è giunto in diverse copie su papiro del 2° secolo (135-150 d.C.). Se si tiene conto che esso sarebbe stato composto in Asia Minore (Efeso) o in Siria (Antiochia), quello sarebbe stato appunto il tempo necessario per giungere in Egitto ed entrare nell'uso comune.
  • Scopo e destinatari del vangelo

Lo scopo dello scritto è apertamente dichiarato nella conclusione del vangelo
stesso (20,30-31): "Questi (segni) sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome". Il verbo "crediate" è reso dai manoscritti primitivi in due modi diversi: con il congiuntivo presente, che indica un'azione progressiva e darebbe il senso di "continuare a credere", o con il congiuntivo aoristo, che suggerirebbe un'azione ingressiva, "affinché diventiate credenti". Il primo senso - che è anche il più probabile - avrebbe una buona motivazione, oltre che nel consolidamento del cammino di fede e di comunione più profonda con Cristo Gesù (come suggerito dal testamento di Gesù dei cc 13-17), nel conflitto con le autorità giudaiche. In questo periodo i cristiani sono per la maggior parte convertiti dal mondo giudaico e c'è un confronto polemico-apologetico con l'ambiente dell'ebraismo. L'oggetto della fede è "Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio". La presenza dell'articolo davanti a Cristo fa pensare che questo sia il soggetto e che Gesù sia il predicato, allora il senso della frase acquista questo colore: "il Cristo è Gesù, quello che aspettavamo è il Gesù terreno". Il predicato più importante qui è l'incarnazione del Cristo.
Perché questa enfasi sull'incarnazione? Perché il vangelo è scritto in un ambiente a rischio docetista (presente in molte eresie) che vanificava proprio l'incarnazione, sostenendo che il Cristo avrebbe assunto una carne apparente. Questa preoccupazione è riflessa anche nella prima lettera di Giovanni, preoccupata di dimostrare che il Verbo della vita è quello che è stato toccato con mano, veduto con gli occhi. "Chi è il padre della menzogna se non colui che nega che il Cristo è Gesù?" (1Gv 1,22). Il criterio di discernimento dei veri profeti dai falsi è proprio questo: "…ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio" (1Gv 4,2. Cf Gv 1,1), viceversa chi non lo riconosce è l'anticristo. In questo senso le comunità da sostenere nella fede sarebbero quelle extra-palestinesi, esposte all'influsso dell'eresia docetista. Molti studiosi vedono anche nella puntualizzazione relativa a Gesù come "Cristo, Figlio di Dio" la volontà di confermare i suoi destinatari giudeo-cristiani nella loro scelta di fronte a dissidi interni a riguardo. In questo senso il vangelo si rivolgerebbe a quegli ebrei che credevano in Gesù, ma che, come dice R.E.Brown, "erano lacerati tra la loro fede e un naturale desiderio di non disertare il giudaismo". In due passi Giovanni accennerebbe a quelli che, pur credendo, non avrebbero il coraggio di confessare la loro fede ("..anche tra i capi molti credettero in lui, ma non lo riconoscevano apertamente a causa dei farisei, per non essere espulsi dalla sinagoga; amavano infatti la gloria degli uomini più della gloria di Dio", 12,42-43; "…Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù di nascosto per timore dei giudei..", 19,38).
  • Composizione e struttura dell'opera

La struttura del 4° vangelo varia sensibilmente a seconda degli elementi che
si ritengono segnali di divisione.
a.
Le feste giudaiche
Fra gli studiosi più autorevoli c'è chi ha individuato un ritornello ricorrente
in tutta l'opera, che riguarda le feste e che suddividerebbe il vangelo in blocchi ("Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme", 2,13; "Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome 2,23; "…i Galilei lo accolsero con gioia, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch'essi infatti erano andati alla festa", 4,45; "Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme!, 5,1; "Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei", 6,4; "Si avvicinava intanto la festa dei Giudei detta delle Capanne", 7,2; "Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione",10,22; "Era vicina la Pasqua di Giudei e molti della regione andarono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi", 11,55; "Sei giorni prima della Pasqua Gesù andò a Betania", 12,1; "Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni greci", 12,20; "Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre..", 13,1; al c 18, dopo i discorsi di Gesù, incomincia il racconto della passione sotto il segno della festa di Pasqua). Secondo questo schema il vangelo sarebbe diviso nel ciclo della 1° pasqua (2,13-4,54), ciclo della 2° festa di cui non si dice il nome (5), festa della 2° Pasqua (6), festa delle Capanne (7-10), festa della dedicazione (10-11), 3° e ultima Pasqua (12-fine).
b.
Il vangelo della venuta e del ritorno
Un altro ritornello che ricorre in tutto il vangelo è quello della venuta e
ritorno di Gesù, ben sintetizzata da 16,28, che è un versetto programmatico per la composizione del vangelo:" Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre". La prima parte di questo versetto si trova ripetuta in tutta la prima metà del vangelo ("il Figlio dell'uomo è disceso dal cielo", 3,13; "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare..", 3,17; "Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato", 5,23; "chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato…", 5,24; "Non cerco la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato", 5,30; "Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato", 6,38; "Io sono il pane disceso dal cielo", 6,41).
Nella 2° metà del vangelo domina invece il vocabolario del ritorno ("Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre…", 13,1; "Vado e tornerò da voi; se mi amaste vi rallegrereste che io vado dal Padre", 14,28; "Vado da Colui che mi ha mandato", 16,5; "E' bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato…", 16,7; "Ancora un poco e non mi vedrete, e un po' ancora e mi vedrete, perché vado al Padre", 16,17; "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre", 16,28; "Ora io vengo a Te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia", 17,13; il ritornello ritorna nei racconti della resurrezione: "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre…io salgo al Padre mio e Padre vostro" 20,17). In una struttura del genere il vangelo viene diviso in due parti di cui il baricentro è costituito dalla morte di Gesù.
Questo vocabolario dalla venuta e del ritorno si salda con il vocabolario dell'ora.
c. Il libro dei segni e il libro dell'ora
La maggior parte degli studiosi è propensa ad una divisione del vangelo
come segue: Prologo (1,1-18), Epilogo (20,30-21,25); il libro dei segni (1,19-12,36); il libro dell'ora (13,1-20,29).
Il Prologo può ritenersi il manifesto programmatico del 4° vangelo e
presenta due poli: 1) il Logos da sempre presso il Padre 2) fatto carne e venuto ad abitare con noi. Questo richiama da vicino la prima lettera di Giovanni ("ciò che era fin dal principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi…..e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Logos della vita - poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta….e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e si è resa visibile a noi -…, 1Gv 1,1-2), tanto che alcuni pensano che 1Gv sia la lettera di presentazione che accompagnava il vangelo presso le comunità alle quali era diretto. Una frase chiave del prologo che è anche il criterio di lettura di tutto il vangelo è al v.18: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato". Questo è il manifesto programmatico di Giovanni. Tutto il vangelo è una catechesi su questo. La fine del prologo rimanda direttamente alla conclusione del vangelo.
Il 1° Epilogo ("Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi
discepoli…" 20,30) consegna al lettore l'opera con la connotazione di un "libro dei segni che Gesù fece". Non solo dunque le apparizioni pasquali del c.20 sono implicate, ma tutto il vangelo appare come una raccolta di segni meditati alla luce degli avvenimenti pasquali, a partire dalla fine, da quando, cioè è diventato chiaro che le vicende di Gesù erano segni di rivelazione. Il 4° vangelo si presenta così come un'antologia di segni i quali dicono che il Gesù terreno, con tutta la sua concretezza è il Figlio di Dio, il volto di Dio, il suo inviato.
Il 2° epilogo ("Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi
fatti e li ha scritti e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera", 21,24) dà un'altra caratteristica importante: si tratta di una raccolta di epifanie avvenute nel Figlio, nella carne, ma sono materiali di testimonianza. E' dunque una raccolta di fatti comprovati da una garanzia, che viene chiamata testimonianza ed è firmata.
La conclusione di tutto è dunque che il Cristo della gloria, dei segni, delle
epifanie è il Gesù terreno, che rende manifesto il mistero nascosto del Padre. Dio non è più silenzio, ma Parola fatta carne.
Il libro dei segni è chiamata in particolare la prima parte del vangelo che
si conclude al c 12,36, preceduto dalla testimonianza di Giovanni e dalla presentazione dei discepoli (1,19-51) e concluso da un commento teologico del redattore (12,37-43) e da un appello finale di Gesù (12,44-50). Il tema è sottolineato dalla terminologia "segno" (16 volte),"opera-opere" (17 volte),"credere" (88 volte). Il rapporto tra segni e fede è un punto cruciale del vangelo di Giovanni, in quanto lo scopo dei segni è proprio quello di fondare o rafforzare la fede. Es "Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui", 2,11; "Vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome", 2,23; cf anche 4,45.48; 6,2.14.26.30. Le opere di Gesù possono anche ottenere il rifiuto: "Pur avendo compiuto tali e tanti segni davanti a loro (i Giudei) non credevano in lui", 12,37. C'è una serie di verbi connessi al credere: "ricevere" (1,12; 3,11; 5,43; 12,48), "accogliere" (4,45), "ascoltare" (4,42; 5,24.25; 6,45; 8,38); "custodire" (8,51; 14,15; 15,10) ecc. Alcuni segni narrati per esteso scandiscono la prima parte del vangelo: il miracolo di Cana (2,1-11); guarigione del figlio del funzionario del re (4,46-54); guarigione del paralitico alla piscina di Betesdà (5,1-15), moltiplicazione dei pani in Galilea (6,1-15); Gesù cammina sulle acque (6,16-21); guarigione del cieco (9); resuscitazione di Lazzaro (11). Da questo punto del vangelo non si parla più di segni, se non alla fine.
Comincia di qui il libro dell'ora o della gloria, che vede anche il cambio
degli interlocutori di Gesù: dalla folla ai discepoli, iniziando dall'ultima cena (13-17), continua con il racconto della passione (18-19) e termina con i racconti pasquali (20-21). L'ora di Gesù è intesa come l'ora della sua passione e morte che costituiscono la sua glorificazione e il suo ritorno al Padre. Il vocabolario ricorrente è costituito dall'ora, dalla gloria e dal compimento: ("E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo…se il chicco di grano caduto in terra non muore…,12,23; "Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora",12,27; "Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine", 13,1; "…verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio", 16,2; "Ecco verrà l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo", 16,32; "Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo…",17,1). Il tema strutturante del vangelo - la rivelazione di Dio in Gesù – si arricchisce di una nuova colorazione: Dio si rivela nel crocefisso, nell'amore fino alla fine
  • I materiali

Anche il vangelo di Giovanni si presenta con le caratteristiche di questo
genere letterario: come una raccolta di materiale narrativo (487 versi) e discorsivo (381 versi, senza contare gli ampi dialoghi).
a. Materiali narrativi
A riguardo ci sono notevoli differenze dai sinottici: è scomparso il
materiale previo (nascita, infanzia di Gesù, battesimo); il materiale parabolico è quasi assente (al massimo restano due metafore: la vite e i tralci, 15,1-8 e il pastore e le pecore, 10,1-18); il materiale controversiale ha subito un profondo cambiamento: anziché racconti di controversie Giovanni presenta una sorta di arringhe processuali legate all'identità di Gesù, la cui controparte non sono farisei, sacerdoti, erodiani ecc, ma sono genericamente i Giudei (2,13-21; 5,10-18; 6,41-52; 7,14-24.25-36; 8,13-52;10,19-39). I racconti di miracolo, componente fondamentale nei sinottici, sono drasticamente ridotti di numero e si sono emblematizzati: abbiamo una sola guarigione di un cieco (9), una sola resuscitazione (11,1-44), una sola guarigione di un paralitico (5,1-9), una sola guarigione a distanza (4,46-54). Al posto della tempesta sedata presente nei sinottici, Giovanni ha il camminare sulle acque (6,16,21). Il 4° vangelo ha in più l'episodio di Cana. Giovanni non conosce racconti di esorcismo, massicciamente presenti negli altri vangeli, ma si trovano tracce di controversie sugli esorcismi nel grande corpo controversiale (7-10) in cui Gesù è chiamato satana (7,20; 8,48). Mancano nel 4° vangelo anche gli apoftegmi, le raccolte di aneddoti dei sinottici. Si nota dunque una fondamentale riduzione della quantità dei materiali, che sono raccolti attorno ad alcuni poli principali che premono all'autore. Particolare importanza hanno i sette lunghi racconti già menzionati, spesso chiamati "segni", cui seguono in minore evidenza tre racconti che sono anticipatori o proletici, rivelativi o epifanici (la presa di possesso del tempio, 2,13-22; l'unzione di Betania, 12,1-11; l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, 12,12-19 e la lavanda dei piedi, non chiaramente anticipatorio come gli altri). Al tutto seguono il racconto della passione e i racconti pasquali. Sono tutti racconti paradigmatici, caricati di significatività ulteriore, intenzionale, al racconto stesso. Sono flash sull'identità di Gesù, manifestazioni del Logos.
b. Materiali discorsivi
Sono di due tipi a seconda dei destinatari 1) controversiale / apologetico
fino al c 12, 2) diretti ai discepoli, dal c 13 in poi. Così nella prima parte spiccano il discorso con Nicodemo (3) e con la Samaritana (4). Poi durante la seconda festa a Gerusalemme il discorso sull'opera del Figlio (5), il discorso nella Sinagoga di Cafarnao (6), la rivelazione messianica durante la festa delle Capanne (7-8). Nella seconda parte ci sono i discorsi di addio di Gesù (13-17). Tra questi lunghi monologhi c'è un tipo minore di materiale discorsivo costituito dalle note del redattore, sono voci fuori campo facilmente distinguibili. Le più importanti sono quelle tipo commento esplicativo di quanto detto sopra (Es Gv 12,37-43 "Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose da loro…amavano infatti la gloria degli uomini, più della gloria di Dio". Cf anche 3,16-21 o "Diceva così perché parlava della sua morte"…).
  • Lingua e stile del Vangelo di Giovanni

Anche l'uso della lingua in Giovanni (un greco ricco di ebraismi e
aramaismi, che ha fatto pensare a qualche studioso un originale aramaico) connota un testo meditativo, ad alta concentrazione. Su 15.416 parole ci sono solo 1011 parole diverse tra loro, come nei libri di una disciplina specifica, che attirano l'attenzione su alcuni poli fondamentali. In particolare si nota un forte cristocentrismo; tutto emana dal Cristo ed esprime il segreto profondo che rivela: la grande notizia è Lui (Cf le ricorrenze dell'espressione "Io sono…", 4,26; 6,35.41.48; 7,29; 8,12.18.24.28.58; 10,9.11.14; 11,25 ). L'uso delle espressioni con un doppio significato rendono evidente anche nei dettagli il vangelo dei segni (es "Ed era notte", 13,30 rimanda al potere delle tenebre, o "effuse lo Spirito", 19,30, dice che Gesù è il vaso che contiene lo Spirito e quando si spacca lo versa). Altre volte il doppio senso emerge attraverso l'ironia: Gesù risponde a Pilato con sottile ironia mediante frasi a doppio senso che lo mettono in imbarazzo, mentre nei sinottici Pilato è l'accusatore; a Nicodemo risponde chiamandolo ironicamente "maestro in Israele". Giovanni ama anche i parallelismi (3,11; 4,36; 6,35; 13,16; 8,35; 14,21), le antitesi (spirito / carne,luce / tenebre, terra / cielo, 3,6.31; 4,14; 6,32.63; 11,25-26), il chiasmo (6,36-40; 18,28-19,26), l'inclusione (2,11 e 4,46-54; 1,28 e 10,40; 1,29 e 19,36).
  • Tematiche

Nel vangelo di Giovanni si potrebbero individuare molti temi che coincidono
anche con il messaggio teologico-spirituale veicolato: la Chiesa (17,15.17-18), e il riferimento ai ministeri (17,20-23) e sacramenti (3,3.8; 6,51.63), l'escatologia (3,8.11.31; 6,63; 15,11; 5,24; 3,17-19; 5,22.24.27.30; 8,16; 12,32.47-48), l'itinerario di fede (cf il vocabolario del campo semantico "credere, accogliere, vedere, seguire"), la soteriologia (cf il vocabolario del campo semantico "salvare, vita, gioia"), ma è bene fermarsi sulle linee essenziali del pensiero giovanneo.
Come si è già detto l'evangelista raccoglie il suo materiale attorno a centri
di interesse e li collega assieme mediante baricentri tematici. Uno dei più importanti, espressione della cristologia giovannea è, come già accennato, la rivelazione del Dio invisibile in Gesù, cioè il mistero dell'incarnazione come mistero di rivelazione, come la Parola ultima, suprema, il volto umano di Dio.
Questo Gesù, esegeta, interprete del Padre è anche la sorgente dello
Spirito per i suoi, ai quali lascia l'incarico di continuare quello che Lui ha cominciato ("Se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel regno di Dio", 3,5-8; "Colui che Dio ha mandato proferisce la parole di Dio e dà lo Spirito senza misura", 3,34; "E' lo Spirito che dà la vita….le parole che vi ho dette sono Spirito e vita", 6,63; "Questo Egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in Lui, 7,38-39; "Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore….lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere",14,16-17.25-26; "Quando però verrà lo Spirito di verità , egli vi guiderà alla verità tutta intera…",16,13-14; "E chinato il capo, effuse lo Spirito",19,30).
L'altro elemento che appare subito ben visibile è la morte di Gesù alla
luce della resurrezione, come evento culminante e dominante la sua opera e quindi come la discriminante, l'elemento caratteristico della rivelazione di Dio nella carne: Dio si rivela nel Crocifisso. La più alta manifestazione di Dio non è nell'onnipotenza, ma è nell'amore, nell'offerta di sé (13,1), realtà enorme per noi uomini che abbiamo come istinto il dominio sugli altri. Il culmine di questa rivelazione di Gesù non è il fatto della morte e sofferenza in sé, ma, come ci insegna la predicazione tradizionale della Chiesa, la morte come libera scelta di Gesù, come progetto eseguito intenzionalmente. La morte di Gesù non è importante perché è sofferenza, ma perché è voluta, pur potendola evitare. Questo "innalzamento" può ben chiamarsi "teologia della croce", essenziale per scoprire lo spessore enorme del 4° vangelo.
Settimana Biblica
25-28 Settembre 2000 Rel. Laila Lucci


Scheda Riassuntiva

Premessa: tre piste di lettura per il Vangelo di Giovanni: a) il tempo degli uditori
contemporanei di Gesù b) il tempo dei lettori che vivono dopo la pasqua c) lettura simbolica)

  • La questione dell'autore: dati forniti dalla critica esterna (Papia di Gerapoli, Ireneo, Policarpo, Ippolito Romano, Clemente Alessandrino, il Canone Muratoriano) e dalla critica interna (differenze nello stile greco; incoerenze nella successione, 2,11 e 2,23; salti geografici e cronologici, 14,31 e 18,1; ripetizioni dei discorsi, 6,35-50 e 6,51-58; la duplice conclusione del vangelo, 20,30-31 e 21,24-25; menzione del discepolo amato, 19,35).


  • Ambiente di origine e data di composizione: le comunità ebraiche della diaspora

intorno alla fine del I secolo ( sono supposte la morte di Pietro, 21,15-23, la distruzione di Gerusalemme, 11,48 e l'attrito con la sinagoga, 9,22;12,42 e 16,2)

  • Scopo e destinatari del vangelo. Lo scopo è dichiarato nella conclusione del vangelo: "..perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio" (20,30-31) in difesa dell'incarnazione contro il docetismo. I destinatari sarebbero le comunità giudeo-cristiane, esposte all'influsso dell'eresia. in difesa dell'incarnazione contro il docetismo.


  • Composizione e struttura dell'opera. La struttura varia a seconda degli elementi che si ritengono segnali di divisione. Ci sono tre possibilità di divisione: tenendo conto della a) ricorrenza delle feste giudaiche ( 2,13.23; 4,45; 5,1; 6,4; 7,2; 7,2; 10,22; 11,55; 12,1.20; 13,1) b) del vocabolario della venuta (3,13;.17; 5,23.24.30: 6,38.41)

e del ritorno (13,1; 14,28; 16,5.7.17.28; 17,13) c) del vocabolario segni e dell'ora, più il prologo (1,1-18) e l'epilogo (20,30-31; 21,24-25)

  • I materiali. Quelli narrativi sono ridotti ed emblematizzati, e quelli discorsivi

sono costituiti da lunghi discorsi di tipo controversiale/ apologetico (cc 3; 4; 5; 7-8)
o diretti ai discepoli (13-17). Note del redattore.

  • La lingua e lo stile di Giovanni. La lingua è ad alta concentrazione, ripetitiva, meditativa. Uso del doppio senso, dell'ironia, delle antitesi, parallelismi, inclusioni)



  • Tematiche. Giovanni raccoglie il suo materiale attorno a centri di interesse di ordine cristologico: Gesù è rivelazione del Padre (1,1-18), ma è anche sorgente dello Spirito (3,5-8; 6,63; 7,38-39). La sua morte è il compimento della rivelazione (13,1).